lunedì 7 luglio 2008

ROCCA SAN FELICE. FESTA DI SANTA FELICITA E FIGLI

ROCCA SAN FELICE
FESTA DI S. FELICITA MARTIRE E SUOI FIGLI


Felicita, discende da una delle più antiche famiglie patrizie di Roma, probabilmente della GENS CLAUDIA, visse nella Roma imperiale durante la prima metà del II secolo. Erano trascorsi circa cento anni dalla nascita di Cristo e, grazie alla predicazione degli Apostoli Pietro e Paolo, il Cristianesimo era andato diffondendosi sempre di più, non solo fra i diseredati e gli umili ma anche tra le famiglie patrizie, proprio a causa dei saldi su cui si basava la nuova religione.

Certo erano momenti in cui l'appartenere alle teorie del Divino Maestro significava andare incontro a rinunce eroiche e persecuzioni tremende da parte dello Stato che credeva essere il Cristianesimo la causa dei mali e delle calamità dell'Impero Romano. Non conosciamo il nome dell'uomo a cui Felicita si era unito in matrimonio ma sappiamo con certezza che da lui ebbe la gioia di diventare madre per ben sette volte, prima di rimanere giovane vedova.
La sua attività casalinga di madre premurosa e i pesanti impegni domestici non le vietarono le sue attenzioni agli insegnamenti di quella nuova setta di origine orientale, chiamata Cristianesimo, alla quale si convertì con tutta la famiglia. In questo momento storico, a Roma, è in atto già da anni una penetrazione cristiana capillare nelle varie classi sociali: proletari, schiavi, banchieri, negozianti, piccoli borghesi, artisti e artigiani costituivano nel II secolo il tessuto della Chiesa nascente, come ricorda la "Tradizione Apostolica" di Ippolito nel menzionare i mestieri e le professioni di coloro che accendevano all'istruzione catecumenale per il sacramento battesimale.

Nel cuore dell’Irpinia, presso la Valle di Ansanto, un tempo sede di diffusione del culto di Mefite-Aravina (VII-II sec. a. C.), sorse nei primi secoli dell’era cristiana il culto alla Madre dei Sette Figli, Felicita, una nobile matrona romana. La felice intuizione della sostituzione di Mefite, antica madre osca, venerata dai popoli dell’Italia antica, con la madre eroica cristiana, non produsse sconvolgimenti nelle tradizioni locali, anzi fu il volano delle conversioni alla nuova fede del Gesu’ di Nazaret.
Propagine dell’antica diocesi di Aeclanum, dove nella città fu scoperta la celebre ara di Mefite con iscrizione osca, fu nota ai letterati e scrittori del tempo. Una piccola chiesa rurale fu costruita sul pianoro di S. Felicita, dove sorgeva un piccolo pagus con ville rustiche. La tradizione vuole che sia stato S. Felice da Nola a sostituire il culto pagano con quello cristiano.
Da oltre un millennio la devozione alla santa martire romana e figli ha unito i cristiani pellegrini, che hanno sostato ai piedi dell’altare. Ai cristiani del terzo millennio la testimonianza dei martiri, che hanno effuso il sangue per amore di Cristo crocifisso e risorto è sempre attuale ed è sprono per la rinascita e all’impegno della nuova evangelizzazione.
Nel caldo mese del solleone, dall’Irpinia, e Puglia, pellegrini si riversano a venerare Santa Felicita e ricordano il martirio dei Figli, con una festa liturgica e civile. Un tempo era famosa anche la fiera accorsata.
Un dignitoso santuario accoglie i pellegrini, in stile neoclassico, all’interno si possono venerare le statue lignee di Felicita, secc: XVI-XVIII, due stupendi quadri del martirio dei figli, un bell’antiquarium documenta le vicende storiche ed artistiche del pagus romano e gli ex- voto che testimoniano la fede popolare.
Ai pellegrini, quest’anno viene offerto anche la ristampa del libro di P. Zaccaria Santoli, edito dal santuario, una delle prime biografie che conservano la loro attualità. Il testo è stato desiderato e realizzato dal parroco P. Luigi Martella, con la collaborazione della trascrizione della Prof. Virginia Galante.
La festa si svolge sempre nei giorni 8-9 e 10 luglio, dove i turisti possono gustare i prodotti genuini e le tipicità culinarie locali, celebre il formaggio di Carmasciano e l’angello arrostito che in quest’area per il tiupo di cucina e l’aria di Mefite è di un gusto veramente speciale.
Invito gli Irpini e i forestieri a non mancare all’appuntamento dove fede, cultura e natura e la consueta ospitalità dei rocchesi assicurerà un soggiorno piacevole.
Da non dimenticare la visita alla Valle di Ansanto e alla Mefite, il bosco decantato da Virgilio e il borgo medievale.
Giovanni Orsogna

domenica 4 maggio 2008

ROCCA SAN FELICE. FESTA DI S. FELICITA

Processione di S. Felicita, prima domenica di maggio 2008
Rocca San Felice. Festa di S. Felicita
S. Felicita ritorna al suo santuario, maggio 2008
Rocca San Felice
Si rinnova la grande processione di S. Felicita Martire
Nel cuore della Verde Irpinia, nella celebre Valle di Ansanto, ogni anni si rinnova la suggestiva festa di S. Felicita Martire romana del I secolo d.C., una millenaria processione, a ricordo delle processioni penitenziali, che hanno sostituito quelle primitive dell’offerte delle primizie alle divinità pagane irpine-sannitiche, sono state nel corso del tempo purificate dal cristianesimo.
Una folla di fedeli, dopo la S. Messa presso la Cappella di S. Maria di Costantinopoli, hanno attraversato le lussureggianti campagne, dove campeggiano i campi di grano e di papaveri rossi, con canti devozionali antichi, dopo due ore sono giunti al millenario santuario della Martire Romana Felicita, madre dei sette figli.
Al di là del folclore, si è percepito un fremito, un legame con tanti pellegrini che hanno attraversato campi, divorato kilometri, un tempo non molto lontano, le donne econ le fascedde sulla testa a piedi nudi, con energie e fede atavica portavano la statua , in cammino verso la meta del santuario.Il culmine dell’evento converge sempre nella liturgia eucaristica e nel sermone dove il parroco, ha indicato i santi come ponte per incontrarsi con Cristo, verso sole, e dove con Lui, niente si perde, e tutto si guadagna.
Anche il sole ha illuminato la stupenda statua dei questa eroina, protettrice delle vedove, e dei bambini, venerata nella Roma cristiana come “Cultrix Romanarum”, protettrice dei Romani, dove presso le Catacombe fu venerata da Pontefici e gente comune.Il Santuario irpino è frutto di restauri del novecento, nella sua semplicità è accogliente e da quest’anno si arricchirà di un nuovo locale al servizio del santuario.
Tra i piu’ antichi dell’arcidiocesi di Santangelo dei Lombardi, Nusco, Conza e Bisaccia, meriterebbe di essere valorizzato come santuario diocesano per la famiglia, custodisce una preziosa tavola lignea del sec. XV, una tela del martirio datata 1573, due stupende statue della santa martire ed un interessante antiquarium.Il percorso storico di oltre un millennio parte dalla Valle di Ansanto per giungere al santuario di Felicita M., accomunato dalle bellezze naturalistiche rappresenta un polo attrattore per il turismo religioso.
Per non parlare del borgo medievale di Rocca San Felice, la “piccola Assisi dell’Irpinia”. E’ senz’altro un tuffo nel cuore delle verdi vallate dell’Irpinia da riscoprire e da visitare.
I Santi Sette Fratelli, figli di Santa Felicita di Roma, sono venerati come martiri alla data del 10 luglio.
Presso il santuario a Rocca San Felice, per antica tradizione si festeggia ben tre volte: 1. La prima domenica di maggio, a ricordo delle antiche feste in onore della Dea Madre Mefite, il culto si diffuse già verso il IV secolo d. C. in area Irpinia; il culto della Madre dei sette figli sostituì quello di Mefite (VI a.C. IV sec.); il 10 luglio festa del martirio dei sette Figli, e 23 novembre per quello della Santa Martire romana.
Il martirio
La Passio di Felicita, composta tra la fine del IV e l'inizio del V secolo, narra che, ricca vedova romana, fu accusata di pratiche cristiane durante l'impero di Antonino Pio (tra il 138 e il 161 d.C). Dapprima fu interrogata da sola dal prefetto di Roma Publio, senza risultato.
Il giorno dopo Publio fece condurre davanti a lei i sette figli (Gennaro, Felice, Filippo, Silano, Alessandro, Vitale e Marziale) che, a causa della loro fermezza nel rifiuto di rinnegare la fede, furono martirizzati uno alla volta con diversi supplizi. Infine anche Felicita fu uccisa. Secondo vari studiosi il racconto ha caratteristiche leggendarie ed è improntato alla vicenda biblica dei sette fratelli Maccabei.[1] I Padri Bollandisti a seguito di un riesame di tipo storico sui testi della Passio hanno messo in discussione l'esistenza della matrona romana Felicita, pur non escludendo la veridicità del martirio dei sette fratelli.
Gli ultimi studi, le testimonianze archeologiche, le omelie dei Papi e le traslazioni delle reliquie sembrano invece confermarne l'autenticità e la veridicità storica.
Il culto e l'iconografiaIl culto di Felicita di Roma (di cui si fa memoria il 23 novembre e da non confondere con l'omonima martire compagna di Perpetua) e dei suoi sette figli (di cui si fa memoria il 10 luglio) è attestato fin dal IV secolo: papa Bonifacio I (418 - 422) edificò una basilica sul sepolcro della santa, presso il Cimitero di Massimo sulla via Salaria, dove fu sepolto lui stesso. Si ha notizia che presso questo sepolcro si soffermò in preghiera San Gregorio Magno.
A Roma Felicita era particolarmente venerata dalle donne che volevano avere figli, e in genere come protettrice delle donne romane: il titolo di Felicitas cultrix Romanarum risale al V secolo. Oltre che in vari luoghi d'Italia[2], testimonianze del culto di Felicita si trovano in Austria, Germania e nelle Fiandre.
La venerazione in area beneventana, anch'essa molto antica, è legata alla traslazione di reliquie della santa a Benevento. In Irpinia è attestato il santuario della Madre e suoi figli a Rocca San Felice, nella diocesi di S. Angelo dei Lombardi, già presente nel XVI secolo, ma certamente più antico, che ha sostituito il celebre santuario italico di Mefitis nella Valle di Ansanto del secolo VI a.C., ad opera del santo presbitero San Felice da Nola, confessore e martire.
Nel santuario sono custoditi una pala lignea del XV secolo, un olio su tela del martirio, una statua lignea della martire del XVII secolo e uno stupendo busto ligneo del XVIII secolo; sul petto di quest'ultima si conserva la reliquia di due denti molari.
Nel XV secolo esisteva un'abbazia dedicata A S. Felicita a Montefalcione (AV), oggi scomparsa, e nell'alto medioevo era documentata una chiesa dedicata a S. Felicita e Figli in Montemarano. Nella cattedrale di Nusco (AV) si conserva una tela del Cinquecento del martirio di S. Felicita, forse di provenienza dalla scomparsa chiesa montemaranese.
Il culto di Felicita e suoi figli si è diffuso nel medioevo ad opera dei padri verginiani e benedettini. Altre reliquie si conservano nella cattedrale di Alife, dove nel X secolo furono traslate da Roma: lo attesta una passio dell' XI secolo custodita nella Biblioteca Capitolare di Benevento.
Si conservano in questa diocesi i reliquiari lignei del XIX secolo dei figli e della Santa Martire. L'iconografia più antica risale al V secolo: in un oratorio risalente a quel periodo, scoperto nel 1812 vicino alle Terme di Traiano, la santa è rappresentata in piedi contornata dai sette figli; in altri casi mostra un piatto o una spada con le loro teste mozzate, come nell'illustrazione che figura in questa pagina; altre volte è ritratta in trono, in posizione ieratica e solenne, sempre attorniata dai figli; più rara l'iconografia che la rappresenta come madre afflitta.
Il legame con i Sette Fratelli è presente nella denominazione del comune di Settefrati (FR), con sicura derivazione dal culto di Felicita e dei figli, attestato anche dalla presenza di due chiese, l'una dedicata ai Santi Sette Fratelli, e l'altra a Santa Felicita, e di una cappellina, pure dedicata a Santa Felicita, nella frazione di Pietrafitta; in Umbria, nei pressi della località anch'essa denominata, per una singolare coincidenza, Pietrafitta (Piegaro), c'è l'antica abbazia dei Sette Frati.
Altre non infrequenti attestazioni toponomastiche (es. la spiaggia Settefrati a Cefalù , Portella dei Sette Frati, Monte Sette Frati, Sette Fraris in Sardegna) non sempre sono sicuramente collegate a questo culto, e in qualche caso potrebbero essere ricondotte alla numerosa serie di nomi di luoghi composti col numero sette, cui è notoriamente attribuito un valore magico.
Nel caso dell'Oratorio dei Sette Fratelli, a Traona, in provincia di Sondrio, una leggenda locale sull'origine della chiesa sembra mescolare elementi mitico-fiabeschi a elementi di tipo agiografico in qualche modo riconducibili al culto dei sette fratelli santi.
Note1. Si tratta tuttavia di un argomento di carattere esterno, che può essere messo in dubbio dalla curiosa circostanza che la vicenda di sette fratelli uccisi per una qualche causa è presente anche in episodi storici contemporanei, sicuramente ben documentati.2. Di particolare interesse è la chiesa di Santa Felicita a Firenze, che conserva un dipinto di Neri di Bicci rappresentante la santa con i sette figli .

Fonti e bibliografiaI manoscritti delle due versioni della Passione di Felicita sono riportati in BHL I, p. 429-430, n. 2853, 2854, 2855. La rassegna completa delle fonti si trova in "Biblioteca agiografica italiana", Firenze, 2003, I, p. 257-259.

F.C. BURKITT, St. Felicity in "Journal of theogical studies", 32(1930-31), p. 279-287.

Filippo CARAFFA e Maria Chiara CELLETTI s.v. Felicita e sette figli, in "Enciclopedia cattolica".

Giovanni Battista DE ROSSI, Scoperta di una cripta storica nel cimitero di Massimo, in "Bullettino di archeologia cristiana, IV, 3(18884-85).

Nicola GAMBINO, "Da Mefite a S. Felicita", Lioni, 1967.

Giovanni ORSOGNA, "S. Felicita e suoi Sette Figli", inedito, in corso di stampa.

Claudia RICCI, La Chiesa di S. Felicita a Firenze, Firenze, Mandragora, 2000

sabato 26 aprile 2008

nuovo sito della Soprintendenza ai Beni Archeologici di Salerno e Avellino

Avellino
L'attuale provincia di Avellino coincide con l'Irpinia, crocevia nel corso dei secoli di percorsi e itinerari di comunicazione tra la costa adriatica e quella tirrenica.

i luoghi della provincia di Avellino
Ariano Irpino
Atripalda
Avella
Casalbore
Conza della Campania
Flumeri
Lauro
Mirabella Eclano
Morra De Sanctis
Taurasi

La valle del Sabato (con l'insediamento principale di Abellinum) e l'alta valle dell'Ofanto (con i centri antichi di Cairano, Bisaccia, Calitri, Morra de Sanctis, Conza - l'antica Compsa -) rappresentano comprensori geogragici densamente occupati nell'antichità, che conservano consistenti resti materiali della loro storia. Tra i siti archeologici fruibili sono da annoverare il Parco di Mirabella Eclano; il Parco di Atripalda, l'antica Abellinum; le aree archeologiche e l'Antiquarium di Avella, nel quale è esposta una ricca esemplificazione del materiale recuperato nel corso delle indagini archeologiche condotte nell'alta valle del Clanis e nell'insediamento antico di Abella.

Nella cartina a fianco sono indicati esclusivamente i Parchi, le aree archeologiche e i
Xoanon della Dea Mefite
Museo Irpino di Avellino
Antologia della Mefite


a cura di Carmela Amati
IL CULTO DI MEFITIS
Ma la certezza della forte preponderanza templare in Lucania specificamente a Vaglio e Rossano è data dai resti del luogo sacro dedicato alla dea Mefitis , ora naturalmente divenuto santuario mariano.
Il simbolismo rivelatore templare recepisce la Dea e i suoi sacri attributi e la innalza al culto cristiano della Grande Madre Celeste
Virgilio nell’Eneide descrive un sito , quello di Acheronte la cui descrizione ci dà l’immagine di quello in cui si trova la Dea Mefite.
La dea è tale perché dispensatrice di vita, l’acqua ne è il simbolo, è anche dispensatrice di morte.
Il commento di Servio a Virgilio ci chiarisce che il terribile odore dello zolfo uccide chi si avvicina.
Il sacrificio alla Dea era incruento, nel senso che la sola esposizione alle acque maleodoranti- perciò mefitiche- ne causava la morte.
La palude con fumi solforosi era anche un segnale del sacro in quanto era oracolare, fonte cioè di oracolo.
Il grammatico Porfirio nel commentare versi di Orazio parla di un locus di Mefite caratterizzato da acque paludose con emanazioni putride , ma sede di un oracolo.
La Dea corrisponde al bisogno religioso templare di continuare la sacralizzazione della stessa perché portatrice di caratteristiche sacre come la vita, la morte, il predire avvenimenti , di guarigione di persone e armenti.
I teonimi attestati dalle iscrizioni di Rossano ampliano il quadro dando indicazioni sulle caratteristiche della Dea.
L’appellativo “aravina”dal latino “arvom” la collega al ciclo agreste della coltivazione dei campi, la dea a cui si riferiscono i contadini per la buona raccolta.
L’appellativo “arvia” riporta il nome alle sfera aruspicale.
“Kaporoinna” è l’appellativo legato alle “feriae ancillarum”, appartengono alla Dea Mefite i riti della fertilità e quelli della capra animale caro a Giunone .
La Mefite “utiana” fa appello alla sua funzione regale, quindi sacra , di dea.
Altri teonimi di Rossano sono la “Venus coacina”, la “Venus Murcia” e la “Venus Libitina” analogie che connotano la dea nella sfera matronale , matrimoniale , e funeraria.
Mefite è una dea liminare, è quindi bi-polare, sta tra la vita e la morte, il suo culto come nel nostro caso trova collocazione in zone boscose, ricche di acque legate a fenomeni solforosi e paravulcanici.
E’ una divinità nostrana, dell’Italia centro-meridionale venerata dagli “osci”, la popolazione che abitava queste terre.
Le erano dedicate le esalazioni sulfuree e vulcaniche.
La ritroviamo sacralizzata anche a Roma nel tempietto dell’Esquilino.Il suo compito : proteggere dai miasmi.
L’etimologia di Mefite però riconduce a un altro significato , caro ai Templari che comunque ben si coniuga con gli altri prima esposti : il latino “mefifitis” è colei che fuma nel mezzo.
Anche nel linguaggio osco : mefiai corrisponde al latino “ medium”, per cui Mefite è la Dea che sta nel mezzo, simbolo caro ai milites christi .: la dea che sta nel mezzo, che agisce tra cielo e terra, fra sottosuolo e superfice, fra mondo ctonio e quello uranio.
Ma la mediazione cara ai nostri Milites Templi è anche quella intesa come scambio, come mercato, luogo di incontro e meditazione.
Mefite è la Dea delle molteplici protezioni, dea primigenia che come la natura sovrintende le fasi più importanti della vita: nascita, matrimonio e morte, che sovrintende oltre alla vita agreste composta di piogge invernali e caldo estivo e buoni raccolti, anche la vita di relazione, produttiva e commerciale, unisce in sè le caratteristiche femminili legate alla riproduzione quelle maschili legate al mondo della produzione, dello scambio commerciale e dell ‘ economia.
Nei territori di Vaglio e Rossano dove il culto della Dea Mefite si attestava con forte simbolismo esoterico c’erano tutti i principi vitali di archetipi primigeni della vita che non potevano non essere tradotti da Milites Christi nella Devozione alla Grande Madre che li ha connotati nell’arco della storia.

CARMELA AMATI
CASALBOREIn località Macchia Porcara è possibile osservare i resti di un tempietto sannitico, l'unico del genere rinvenuto in Irpinia, portato alla luce durante scavi archeologici negli anni ottanta. Il tempio era un edificio prostilo, esastilo, orientato in senso Sud-Nord ed era costituito da una cella a pianta quadrata, ornata di terrecotte decorative, con due ali
laterali simmetriche i cui muri esterni terminavano con ante fra le quali erano posizioinate sei colonne lignee a reggere la trabeazione. L'interno era pavimentato con cocciopesto e decorato con stucchi a rilievo. Il lato frontale del complesso presentava una gradinata di accesso interrotta da due fontane. Nello spazio antistante, dove sorgeva l'altare, era un edificio laterale con colonne in spezzoni di tegole uniti con malta. Il complesso fu oggetto di un movimento franoso che ne deformò parzialmente la struttura.

Restituzione del tempio della Mefite.
I reperti della stipe votiva recuperata sono ascrivibili al IV-III secolo a.C. (esposti al Museo Archeologico di Ariano Irpino). Da essi si ricava che il tempio era presumibilmente dedicato alla Dea Mefite. Nella stessa area sono stati recuperati reperti (boccali con anse a bottoni e vasi con superficie a squame) appartenenti alla cultura di Laterza dell'età Neolitica (III-II millennio a.C.).

VALLE D'ANSANTOIl santuario italico di Mefite più celebrato nell'antichità era in Irpinia a Mirabella Eclano nella Valle d'Ansanto. Fu il santuario eporico delle popolazioni italiche delle zone montuose dell'interno dove Mefitis, oltre ad essere la dea della salute, era insieme dea della sorgente, delle capre, dei campi e della fecondità. Pertanto, essa si caratterizza come divinità agreste, tutelatrice di una popolazione rurale e pastorale, attestato dal termine "aravina" ("Mefitis aravina") inciso su un frammento di vaso rinvenuto in loco.Il culto, determinato e favorito dai fenomeni di vulcanesimo secondario (esalazione di acido carbonico o di idrogeno solforato), tuttora attivi, ebbe una vita piuttosto lunga dal IV secolo a.C. al V secolo d.C., come è documentato dal materiale numismatico rinvenuto.In territorio di Mirabella si è rinvenuta un'ara alla dea Mefite, con un'iscrizione in lingua osca che potrebbe rappresentare il documento più antico di questo culto:SIVÍIÚMAGIÚMEFIT (9)Sevia Magia Mefiti. (Mefit è abbrev. di Mefiteí dativo). Sevia Magia a Mefite. I primi due nomi sono prenome e gentilizio della dedicante.Del luogo ci parla Cicerone e Seneca. Servio nel commento all'Eneide ci informa che le vittime non venivano uccise, ma fatte soffocare avvicinandole al lago. Plinio (Natur. Hist. 11, 93, 207-8) allude anche alla esistenza di un tempio "ad Mephitis aedeni".
Soprattutto Virgilio ce ne dà una visione plastica: "Al centro dell'Italia tra alte montagne, nobile e famosa in molte terre si apre la Valle d'Ansanto. Una chiostra di colli boscosi nereggiante per il fitto fogliame la circonda da ogni parte. In mezzo fragoroso e tortuoso torrente rumoreggia tra i sassi. Qui si osserva una orrenda buca, porta dell'orribile Inferno. La smisurata voragine spalanca la sua bocca resa pestifera per lo straripamento del fiume Acheronte" (10).Alla pace bucolica del paesaggio, fa riscontro questa raccapricciante visione dell'entrata dell'inferno.Scavi effettuati nella vallata non hanno trovato tracce di strutture legate alla presenza di un santuario: è stata messa in luce soltanto una ricchissima stipe votiva che attesta l'importanza e la diffusione del culto. I materiali sono costituiti principalmente da statuette fittili, alcune di tipo italico-sannitico, altre di tradizione culturale greca. Molto interessanti sono alcune sculture in legno, espressione di artigianato locale, tra le quali troviamo un grande Xoanon databile intorno al V secolo a.C. (dal greco "xoanon" "intaglio"), una scultura alta 142 cm, con volto stilizzato e mento rastremato, naso a rilievo e occhi incavati, mentre i capelli sono realizzati da una sottile linea che corre all'altezza della nuca. Il corpo è un semplice parallelepipedo con anteriormente due incisioni oblique disposte a croce. Tra gli ex voto riportati in luce sono da ricordare una collana d'ambra del V secolo a.C., ori e bronzi. Buona parte dei reperti sono esposti al Museo Provinciale Irpino di Avellino.


ROSSANO DI VAGLIONel IV Secolo a.C. ha inizio lo sviluppo urbanistico di Potenza, insediamento sorto per necessità politiche e militari in un'area più centrale per tutte le genti lucane.Nasce nelle vicinanze il santuario di Rossano di Vaglio, di tipo greco nella struttura dell'edificio che consta di un ampio sagrato al cui centro è l'altare, mentre ambienti di servizio compaiono sui lati nord ed est. Ma la specificità indigena del santuario è dimostrata in modo inequivoco dalle iscrizioni in lingua locale, che indicano la dedica a Mefite Utiana, dea delle acque. Infatti in tre iscrizioni rinvenute durante gli scavi è presente il nome della divinità accompagnato dal singolare attributo di "Utiana", il quale potrebbe connettersi con l'umbro "utur" delle Tavole Eugubine (greco "ùdor" cioè "acqua").

GRUMENTUMUn'iscrizione su di un frammento ritrovato nell'area sacra di Grumento in Lucania documenta il culto di Mefite il cui nome è associato all'attributo non del tutto chiaro di «Fisica» (11).


NOTE(1) C. BONETTI - P. SACCHI: "Il tempio della dea Mefite a Cremona" in "Cremona" - Rivista mensile 1939 n. S.(2) T. MOMMSEN: C.I.L. - V. 6353.(3) R. MARANDINO: Mefite in "Hirpinia" - Quaderno dell'Assoc. Archeol. Irpina (Anno 1968).(4) VMMONE: "De lingua latina" V, 49.(5) SIGONIO: "de Regno Italico" Libro 1 - Festo "de Lingua Latina" 351(6) R. MARANDINO: Op. Cit. pag. 29.(7) Il testo virgolettato è tratto da V. ORLANDI e A. MORELLO "Ex Voto. Speranza e sofferenza dagli antichi santuari della Valle del Comino" Ed. Diana, Atina 2000.(8) Il testo è un sunto sul Santuario di Pescarola tratto da V. ORLANDI e A. MORELLO "Ex Voto. Speranza e sofferenza dagli antichi santuari della Valle del Comino" Ed. Diana, Atina 2000.(9) V. PISANI: Le lingue dell'Italla antica oltre il latino - (Ed. Roserribero - Sellier - Torino 1953).(10) VIRGILIO: Eneide Lib. VII 562 sgg.(11) E. MAGALDI: Lucania Romana Parte 1 (Istituto Studi Romani Ed. Roma 1948).
Da consultare:Rainini Ivan Il santuario di Mefite in valle d'Ansanto - Roma 1985Rainini Ivan Una 'applique' antropomorfa dal Santuario di Mefite d' Ansanto - Napoli, 1980
Fonti Letterarie:Virgilio, Aen. VII, 563-569 (Mefite d'Ansanto)Plinio, Naturalis historia II, 95, 208 (Mefite d'Ansanto)Servio, ad Aen.VII, 563 ss. (Mefite ed etimologia di Ansanto)Tacito, Hist. 3, 33 (Cremona, tempio di Mefite)Cicerone, De Divinatione I, 79Stabone V, 3-9 (per il fiume Melfa)



Storia dei Sanniti e del Sannio - Davide Monaco - Isernia 2004